“Yakamoz” in turco vuol dire “riflesso della luna sull’acqua”, una parola sola per esprimere un concetto di sei parole ed è questa un po’ la metafora di una città dai mille volti, un luogo che è tanti posti messi assieme, che è Oriente ed Occidente, caos e pace. Perchè ad Istanbul c’è il sole accecante che riflette sulla roccia chiara delle moschee e c’è pure il buio scuro scuro della notte, con la luna che si specchia sul Bosforo, una Luna che sembra così diversa, così grande, persino più vicina e che quando crea quello scintillìo tra le piccole onde, regala un riverbero che ti rapisce.
Ecco perchè ad Istanbul non vuoi mai andare a dormire, sei stanco, ma mai sazio, fa caldo di giorno ma giri come una trottola, poi la sera trovi il locale che fa per te, bevi il tuo yaky bollente e profumato nel bicchiere in vetro a tulipano, fumi narghilè e ti godi quello che i turchi chiamano “alem”, quel ” momento di rilassarsi in compagnia degli amici” che è un diritto che dovrebbero inserire in ogni costituzione.
Sono tornata da tre giorni dal mio viaggio ad Istanbul e sento ancora addosso il suo odore, siamo partiti in quattro, due coppie, una scelta che ha aggiunto valore ad una meta che va vissuta intensamente e condivisa per carpirne l’essenza, perchè se di giorno si visita come una qualunque meravigliosa capitale europea, di notte rivela un fascino particolare fatto di locali aperti fino alle prime luci dell’alba, quartieri che la sera si trasformano in ritrovo chiassoso e bazaar sotto le stelle che scopri per caso. E anche se sai che la sveglia suonerà presto la mattina, non puoi perderti tutto questo.
Prima di partire ero contemporaneamente attratta e spaventata da questa città, me ne sono perdutamente innamorata quando, posati i bagagli in camera, siamo andati a fare un giro al Gran Bazar a due passi dal nostro albergo (Niles Hotel ottimo rapporto qualità prezzo, prenotato con Expedia con colazione inclusa, a tre minuti dal Gran Bazar, vicinissimo alla stazione del tram fermata Beyazit, a 10 minuti a piedi dalla Moschea Blu, Palazzo Topkapi, Aya Sofia e Basilica cisterna).
Kapalı çarşı (in turco mercato coperto) brulicava di visitatori a mezzogiorno, di turisti in particolare ma anche di gente del posto, che si fa strada tra tappeti, argenti, lampade in vetro e ceramiche decorate, foulard e sciarpe ricamate, saponi naturali e pestemal in cotone…sono entrata e mi sono persa, ammaliata dai colori e stordita dal vocìo, è stato quello il mio primo impatto con la città che non ha dovuto corteggiarmi troppo per farmi cadere tra le sue braccia.
Non posso raccontarvi Istanbul in un post, quindi inizierò con un po’ di considerazioni in ordine sparso, frutto di appunti presi al volo durante gli 8 giorni trascorsi in giro per la città, quando con il mio quaderno mi ritagliavo attimi tutti per me, sul tram quando riuscivo a trovare un posto a sedere, dopo pranzo, tra una chiacchiera e un caffè turco, provando a leggere nel fondo denso della tazzina una qualche rivelazione sul mio futuro, o seduta su una panchina, sfiancata dal caldo, restando incantata dai canti dei muezzin.
(Photo Credits Massimo Caruso)
Ad Istanbul la gente non dorme mai, a qualunque ora del giorno e fino a tarda notte le strade, i locali, i tram sono pieni di umanità, la gente del posto si mescola ai turisti, se sei italiano l’approccio è sempre lo stesso “Berlusconi Bunga Bunga” (roba che fa rimpiangere il caro vecchio clichè “italiani pizza, mandolino…”). Ambulanti, negozianti, camerieri attira-turisti, hanno un copione, captata la nazionalità, sfoderano il repertorio…per vendermi un giro sul bus turistico (consigliatissimo perchè vi fa fare un giro della città e visitare zone che altrimenti non vedreste!) mi hanno chiamata Monica Bellucci e a mio marito Rocco Siffredi con tanto di gesto inequivocabile e allusioni ad una certa “anaconda”. Vabbè, anche questo fa colore.
(Photo credits Clara Saitta)
Tutti i locali hanno il wifi, io avevo attivato la promozione Smart Passport di Vodafone ( costa 3 euro al giorno, offre 25 minuti di chiamate in entrata e 25 minuti in uscita, 50 sms e 500 MB) ma appena mi sedevo si premuravano di comunicarmi la password e questo mi ha permesso di non sforare minuti e giga; i venditori di acqua fresca sono ad ogni angolo, una bottiglietta costa 1 lira (35 cent…come a Venezia, no?) Il traffico è infernale, caotico roba che quello di Catania sembra quello ordinato di Lugano. I venditori di simit (ciambelle al sesamo) le trasportano impilate sulla testa, lo street food include anche pannocchie arrosto e caldarroste ( sì, castagne in pieno agosto!).
(Photo credits Massimo Caruso)
I tassisti contrattano i prezzi e in genere se chiedi di accendere il tassametro ti liquidano e non ti fanno salire bofonchiando qualcosa che tu non capisci ma che se sei perspicace non insisti (attenzione ai tassisti disonesti, quelli ci sono ovunque, ma a noi è successo di litigare con uno che ad un certo punto voleva scaricarci in una specie di circonvallazione, lontanissima dal nostro hotel, fingendo di non conoscere la strada e di non capire tutto ad un tratto l’inglese!) per fortuna tutti gli altri giorni con i taxi è andata alla grande e con 20 lire la sera ti accompagnano in hotel facendo strade alternative per fare prima ( tipo entrare nei vicoli labirintici del Gran Bazar deserto, la notte!).
Al Bazaar egiziano, il mercato delle spezie, vendono di tutto, ma proprio tutto, persino sanguisughe ( cosa ne fanno non lo so, ma da qualche parte ho letto che erano usate a scopo medico) il profumo del curry ti entra nelle narici e si mescola a quello del tè, la frutta secca è esposta in maniera maniacale, ordinata cromaticamente, uno spettacolo per gli occhi e che in quel caos di voci e odori ti ipnotizza (parola di una che è riuscita a spendere quasi 100 euro tra spezie, tè e frutta secca).
Impossibile parlare di Istanbul e non menzionare i gatti: ma quanti sono i gatti ad Istanbul? Per le strade, nei negozi, nei bazar, sonnechianti alle fermate dei tram, sotto i tavoli dei caffè all’aperto…sono amati e coccolati, si fanno fare i grattini, ti guardano con quell’aria rilassata e calma che stride con il caos frenetico della città. Sono considerati quasi sacri, Maometto, aveva lui stesso una gatta di nome Muezza, che teneva sempre in braccio mentre predicava e una leggenda narra che questa gatta lo avrebbe aiutato a catturare un serpente che si era intrufolato nella manica della sua tunica, salvandolo dal suo morso velenoso, ecco spiegato perchè il gatto è così amato ad Istanbul.
(photo Credits Massimo Caruso)
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